Sfatiamo 5 luoghi comuni sulla Direttiva Green

In questo articolo, ti descrivo cinque luoghi comuni da sfatare sulla Direttiva Green e almeno tre problemi determinati dalla sua attuazione.

Foto di Heinz Schmitz da Pixabay

La Direttiva Green continua a far discutere

Nonostante sia stata pubblicata in italiano e quindi la sua consultazione sia disponibile per tutti, continuano a circolare false notizie sulla ormai famigerata Direttiva Green dell’Unione Europea, più correttamente Energy Performance Building Directive (EPBD).

D’altro canto, trattandosi di un atto giuridico ancora in corso di discussione e quindi suscettibile di ulteriori possibili modifiche, perché scomodarsi (come mi ha risposto qualcuno) a leggerla? Quindi, limitiamoci a criticarla senza conoscerne nemmeno i contenuti! (ironico).

Comunque, se sei curioso, puoi scaricarla qui. Così, nel caso in cui mi fosse sfuggito qualcosa o non lo avessi compreso correttamente, potremo discuterne insieme nei commenti.
Nel frattempo, provo a smontare cinque frequenti luoghi comuni che continuano a essere diffusi dalla stampa.

1. Direttiva Green: non riguarda solo case green

La Direttiva è conosciuta al grande pubblico come Direttiva case green ma, innanzitutto, non riguarda unicamente le abitazioni.

Fa invece riferimento all’intero patrimonio edilizio europeo, formato da edifici pubblici e privati, residenziali e non residenziali, anche se ovviamente l’attenzione mediatica si è focalizzata sulle case perché le norme che le riguardano sono quelle di maggiore interesse per le famiglie.

Inoltre, almeno per la prima fase di attuazione, non possiamo parlare esattamente di case green. Gli obiettivi più a breve termine prescrivono il raggiungimento, per le abitazioni, della classe di efficienza energetica E per il 2030 e D per il 2033.
Le classi E e D non rappresentano certo il meglio dell’efficienza energetica, almeno in base alla classificazione attualmente in vigore, e il vero obiettivo green, gli edifici a emissioni zero, è previsto solo per il 2050.

2. Direttiva Green: nessun obbligo di ristrutturazione

Dai giornali e dai social continuo a leggere e sentire di obbligo di ristrutturazione. Qualcuno dà anche i numeri (in tuti i sensi): 40.000, 60.000 o addirittura 120.000 euro sarebbe l’investimento necessario per adeguare ciascuna unità immobiliare ai requisiti stabiliti dalla Direttiva.

Non so quanto queste cifre siano veritiere e congrue per un intervento necessario, considerando che per portare un immobile dalla classe G o F alla classe E dovrebbe essere sufficiente la sostituzione di infissi e generatore di calore. Molto dipenderà ovviamente da quanto risulterà drogato il mercato come è avvenuto per il Superbonus, ma per scongiurare ciò dovrebbe bastare un’attenta vigilanza della politica che in quel caso non c’è stata.

Ciò premesso, la Direttiva non contiene alcun obbligo di ristrutturazione. Pertanto, se non hai intenzione di mettere mano a lavori per la tua abitazione o vuoi fare soltanto qualche intervento di semplice manutenzione, non hai alcuno obbligo di rispettare particolari requisiti energetici.

Viceversa, se dovrai affrontare lavori importanti riguardanti l’involucro (e quindi l’isolamento) della casa o gli impianti di climatizzazione, sarai obbligato a rispettare precisi requisiti.
Ma questo non rappresenta nulla di nuovo, rispetto a quanto previsto in Italia da anni, precisamente dall’entrata in vigore del d. Lgs 192 del 2005.

3. Direttiva Green: nessun divieto di vendita o locazione

Allo stesso modo, non mi sembra di aver letto in nessun passaggio della Direttiva che sia previsto qualche divieto di vendita o locazione degli immobili non censiti nella classe energetica minima fissata.

L’unico riferimento a compravendite e affitti che ho letto è relativo all’obbligo di fornitura dell’Attestato di Prestazione Energetica, ma anche in questo caso non si aggiunge nulla di nuovo a quanto già previsto dalla normativa italiana da diversi anni.

Certamente un immobile energivoro, nei prossimi anni, sarà meno appetibile sul mercato rispetto a quelli in classe A o B, ma questo fa parte delle normali e consuete dinamiche commerciali. Un immobile nuovo, efficiente, in ottime condizioni, vale di più di uno vecchio, energivoro, da ristrutturare. Mi sembra lapalissiano.

Nessuno vieta di vendere un immobile in classe G ma, a meno che l’immobile in questione abbia altri elementi che ne accrescono il prestigio, come l’ubicazione, l’orientamento, la vicinanza con servizi e mezzi di trasporto, ecc., l’importo ricavabile dalla vendita potrebbe non essere allettante.

Piuttosto un problema potrebbe essere costituito dalla difficoltà di ottenimento di un mutuo per l’acquisto di un immobile di questo tipo, come ha denunciato l’ABI in questi giorni, e questo sarà un argomento da approfondire.

4. Direttiva Green: nessuna stangata per le caldaie a gas

Leggo stamattina da Il Giornale: La bozza di modifica della direttiva sulle caldaie in Europa lascia pensare che ben 19 milioni di queste debbano essere sostituite in Italia.

Non solo quale passaggio della Direttiva abbia lasciato pensare che gli italiani siano obbligati a sostituire le caldaie a gas… È vero invece che da un certo punto in poi ci sarà il divieto di vendita dei generatori a gas, come ho spiegato in questo articolo, ma qualcosa di simile è già avvenuto con il passaggio dalle caldaie tradizionali a quelle a condensazione.

In buona sostanza, chi si troverà a dover sostituire una caldaia a gas, a causa di un guasto o perché intende ristrutturare l’impianto di riscaldamento, sarà obbligato sì a farlo con un generatore di altro tipo ma, fino a quel momento, nessuno gli entrerà in casa per obbligarlo a sostituire la caldaia.

5. Direttiva Green: nessuna sanzione per chi non si adegua

La Direttiva non fa alcun riferimento a sanzioni per chi non si adeguerà a queste disposizioni. Anzi, la parola sanzione non è proprio presente nel testo.

Certo, un eventuale mancato recepimento da parte del nostro Paese o una errata applicazione delle norme sarebbero sanzionati dall’Unione. È l’Italia insomma che potrebbe essere multata e, in virtù di ciò, in fase di recepimento, potrebbe essere il nostro stesso Governo a prevedere nelle norme un pacchetto di sanzioni, per far sì che gli italiani si adeguino e non sia lo Stato stesso a dover pagare.

I problemi aperti dalla Direttiva Green

La mia non vuole essere una difesa a spada tratta della Direttiva europea che certamente presenta una serie di problematiche che non possono essere ignorate.

Semplicemente, non sopporto che si generi allarmismo per motivi ingiustificati da parte di soggetti che dimostrano (qualcuno lo ammette anche candidamente) di non aver mai letto la Direttiva.

I problemi, come detto, non mancano, e qui te ne cito soltanto tre:
• i tempi ristretti
• la forza lavoro insufficiente per portare avanti il programma previsto
• l’eccesso di burocrazia.

La prima dead line prevista è per il 2027. Considerato che la Direttiva dovrà essere recepita entro 24 mesi dalla sua entrata in vigore, che non è ancora entrata in vigore, che siamo già al 2023 e che il nostro Paese spesso non rispetta nemmeno i termini massimi stabiliti, è evidente che ci sarà davvero troppo poco tempo per adeguarsi.

Tutti gli addetti ai lavori chiedono quindi una revisione delle tabelle di marcia, con un programma realizzabile entro scadenze più realistiche.

Per realizzare interventi di efficientamento energetico non solo servono più manodopera e più professionisti, ma questi lavoratori non possono improvvisarsi e devono essere adeguatamente qualificati per quel tipo di attività.

L’Europa prescrive a tal fine che i Paesi membri applichino una strategia volta alla formazione professionale dei giovani e alla riqualificazione dei lavoratori.
Anche in questo caso, però, non sappiamo come questa strategia possa essere messa in atto nei tempi ridotti a disposizione.

Inoltre, la forza lavoro del settore edilizio sarà impegnata nei prossimi anni anche per l’attuazione dei programmi del PNRR e questo diminuirà ulteriormente il numero di addetti disponibili.

Sta passando in secondo piano, ma la Direttiva prevede anche l’introduzione di nuovi adempimenti, come il passaporto di ristrutturazione o la banca dati della prestazione energetica, che appaiono come un appesantimento burocratico eccessivo ma soprattutto ridondante perché replicano adempimenti già previsti con l’APE.
Basterebbe riformare (cosa già prevista) adeguatamente questo documento senza attribuire ulteriori carichi economici e burocratici al cittadino.

Insomma, l’argomento sarà sicuramente ancora oggetto di discussione nei prossimi mesi. Oltre a invitarti di nuovo a leggere personalmente la Direttiva, prima di prestare fede alla caterva di fake news presenti soprattutto in Rete, ti ricordo di continuare a seguire le mie pagine Facebook e Twitter e iscriverti al mio canale YouTube per restare sempre aggiornato.




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